LUIGI PIRANDELLO
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


BIOGRAFIA

 

Luigi Pirandello nasce nella campagna circostante Girgenti il 28 giugno 1897.

Il padre apparteneva ad una ricca famiglia di commercianti di zolfo ed anche la madre era di famiglia benestante.

Nel 1903, però, l’allagamento delle miniere di zolfo d’Aragona nelle quali il padre aveva impegnato tutti i propri capitali provocò il crac della famiglia e fu proprio Luigi a tentare di risollevare le sorti della famiglia offrendo il proprio contributo retribuito a vari giornali. Su uno di questi (La nuova antologia) compare nel 1904 Il fu Mattia Pascal.

Nel 1908 viene pubblicato l’importante saggio Sull’Umorismo in cui intesse una lunga polemica con Croce.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Pirandello s’infiamma di fervore patriottico: la guerra gli sembra poter rinverdire i fasti di quei miti risorgimentali istillati in lui dalla madre.

Un avvenimento molto importante si colloca nel 1924: l’adesione ufficiale al fascismo. La sua adesione al regime non è però dettata da calcolo utilitaristico (nel ’24 il fascismo si trova in gran crisi per il delitto Matteotti). Nel fascismo, invece, Pirandello crede di trovare una risposta alle sue delusioni e ai suoi miti infranti; il regime sembra inoltre poter far pulizia di quei parlamentari corrotti e “bertuccioni” a cui opporre un movimento in continua progressione. Nell’adesione al fascismo appare anche una spinta di nazionalismo linguistico e letterario che si era manifestato molto presto in Pirandello nel desiderio di un’arte italiana che non imitasse gli stranieri. Pirandello vedeva in Mussolini l’uomo che era riuscito a dare all’Italia un prestigio tutto suo. Non mancarono certamente in Pirandello anche spinte più propriamente politiche: profondamente borghese, Pirandello vede protetti gli interessi della sua classe da un regime che si oppone in maniera decisa al socialismo.

Nel ’25 Pirandello dirige il Teatro d’Arte di Roma, ma poi, nel ’28, abbandona l’Italia. Richiamato dal regime, lo scrittore torna in Italia nel ’34, anno in cui gli viene conferito il premio Nobel.

Il 10 dicembre 1936 Pirandello muore a Roma.

 

LA VISIONE DEL MONDO

 

Fin dai primi scritti Pirandello mette in luce la solitudine e l’infelicità dell’uomo contemporaneo: l’insicurezza, il moltiplicarsi delle prospettive, la mancanza di un unico punto di riferimento sono dovuti a suo avviso al fallimento della cultura positivistica e allo scacco della scienza di fronte alle domande ultime dell’uomo.

Pirandello traccia, quindi, le linee di un malessere la cui maggior colpevole è la scienza: essa ha corroso il concetto di Dio e ha assegnato all’uomo un “malinconico posto nell’universo”, frantumando quella prospettiva antropocentrica, fonte d’orgoglio e di sicurezza per l’uomo dei tempi passati.

L’uomo pirandelliano si trova solo nel buio labirinto di una realtà problematica e inconoscibile, in una solitudine che non promuove impennate titaniche o superomismi, l’impegno è quello di affissare gli occhi alla realtà delle cose. La  nostra realtà interiore –dice Pirandello- è un flusso continuo ed è sottoposta ad un continuo divenire, che non si può conoscere, se non a patto di arrestarne innaturalmente lo scorrere. In questo continuo cambiamento abbiamo bisogno di assumere una forma; inconsciamente ci mascheriamo, crediamo di conoscerci, ma in realtà diamo solo un’interpretazione del nostro essere interiore, lo dissimuliamo e ci costruiamo in quello che crediamo di essere e non siamo. Noi non ci conosciamo e non  viviamo la realtà profonda, ma una sua metafora: ognuno infatti ci attribuirà una forma diversa e certamente non corrispondente all’inconscia metafora che noi stessi assumiamo, né a quella che gli altri, ciascuno a suo modo, ci attribuiscono.

La ragione, la facoltà umana per eccellenza, è solo un triste privilegio: l’acuto e sottile argomentare dei personaggi pirandelliani  è un coltello che scava nella piaga, dal momento che la lucidità dell’analisi promuove una forma più disperata di infelicità, non sottraendo l’uomo al suo inferno, ma facendogli vedere l’impossibilità del riscatto.

Senza nessuna certezza, dunque, l’uomo pirandelliano vive in bilico tra una deformante e angusta maschera e il rischio dei una totale nullificazione.

 

LA CONCEZIONE DELL’ARTE

Pirandello rifiuta la concezione dell’arte come imitazione e come specchio della realtà. La verità dell’arte non può prescindere dalla criticità del reale; la disinteressata e autentica coscienza dell’artista accoglie la realtà e ne sviluppa la potenzialità compromessa sul piano dell’esistenza.

L’umorismo sorge su di uno stato d’animo complesso; propria della sua natura è infatti la compresenza di contrasti. Nell’arte umoristica sussistono tendenze antitetiche che lo scrittore non si sforza di comporre: il primo contrasto è quello tra sorriso e tristezza. Nell’umorismo ciò che pare sorriso è dolore e viceversa. Il riso nasce dal comico che Pirandello definisce avvertimento del contrario; il comico scaturisce dall’accorgersi che una persona o una situazione si allontanano dalla normalità; l’approfondimento e la riflessione, però, scompongono la situazione comica e scorgendone le radici tragiche fanno scaturire un riso intriso di dolore: dall’avvertimento del contrario si passa al sentimento del contrario.

L’umorismo, dunque, è l’arte che scompone e distrugge tutte le certezze, che coglie la mutabilità perenne del reale e la sua problematicità.

 

Il fondo idealistico della meditazione pirandelliana po’ essere questo: gli ostacoli, le miserie, le contraddizioni della natura e della realtà trovano la loro soluzione nell’arte; solo nell'’arte vengono eliminati gli scarti tra potenza e atto.

L’arte umoristica, insomma, è forma e vive per sempre.

 

 

testi

Così è(se vi pare)

Enrico IV

Il fu Mattia Pascal

Sei personaggi in cerca d’autore

Il turno